Campania: 360 cave, volume d’affari di 3 milioni ma canoni per 200 mila euro. In Basilicata e Sardegna si estrae gratis, in Puglia quasi

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In Campania censite 360 cave: 48 attive, 312 dismesse o abbandonate. La Regione si è dotata di un proprio piano-cave (Lr. 5/2013 art. 1 commi 146 e 147) che disciplina anche i canoni demaniali. Un primo segnale, visto che il giro d’affari calcolato da Legambiente sui prezzi di vendita su base annua è di 2.853.960 euro a fronte di 178.087 euro di entrate derivanti dai canoni rispetto al prezzo di vendita per sabbia e ghiaia. Il 6.2% incassato da Palazzo Santa Lucia  è comunque la seconda percentuale più alta in Italia: al primo posto il 6.5% dell’Abruzzo. “A fronte di quantità estratte così rilevanti – spiegano da Legambiente – i canoni di concessione pagati da chi cava sono a dir poco inadeguati. Per quanto riguarda gli inerti in media nelle Regioni italiane si paga il 2,3% del prezzo di vendita. Ancora più incredibile è la situazione delle Regioni dove si cava gratis: Valle d’Aosta, Basilicata e Sardegna. Ma anche Lazio e soprattutto Puglia dove si chiedono pochi centesimi di euro per cavare inerti. Le entrate degli enti pubblici dovute all’applicazione dei canoni sono pressoché insignificanti in confronto ai guadagni del settore. Il totale nazionale di tutte le concessioni pagate nelle regioni per sabbia e ghiaia, arriva nel 2015 a 27,4 milioni di euro, a cui bisognerebbe sommare le entrate della Sicilia che variano in funzione della quantità cavata, oltre ad una piccola quota derivata dall’ampiezza dei siti estrattivi, come avviene in Puglia. Si tratta comunque di cifre imparagonabili al miliardo e oltre di euro l’anno ricavato dai cavatori dalla vendita, un dato che rimane sbalorditivo e che ha visto un aumento medio dei prezzi dovuto principalmente alla minore quantità di materiale estratto e quindi disponibile sul mercato. In Puglia nel 2015 si sono cavati di soli inerti oltre 7 milioni di metri cubi che fruttano 140 milioni di euro di introiti ai fortunati cavatori che rendono al territorio solamente 561mila euro l’anno. Ma anche dove si paga canoni leggermente superiori, come in Friuli Venezia Giulia il rapporto tra le entrate regionali e quelle delle aziende è di 1 a 40. Per fare un altro esempio concreto nel Lazio la Regione ricava 500mila euro contro oltre 33 milioni del volume d’affari con i prezzi di vendita. Nonostante possano verificarsi differenze sensibili dei prezzi degli inerti nelle varie realtà del Paese, quello che emerge è la netta differenza tra ciò che viene richiesto dagli enti pubblici ed il volume d’affari generato dalle attività estrattive. In molte Regioni le entrate dovute al canone richiesto non arrivano nemmeno ad un ventesimo del loro prezzo di vendita. Succede in Piemonte, Provincia di Bolzano, Friuli Venezia Giulia, Emilia-Romagna, Toscana ed Umbria. Ma anche in Campania, Abruzzo e Molise, dove i canoni sono più alti, il margine di guadagno dei cavatori è enorme, soprattutto se si considerano i prezzi di vendita. Infine in Sicilia e Calabria, nonostante l’introduzione del canone di concessione da pochi anni, le Regioni ricavano decisamente ancora troppo poco. Per i materiali di pregio, le quantità estratte sono minori, a fronte di prezzi di vendita ben più elevati, ma la situazione non cambia quando si tratta di guadagni, davvero enormi, a fronte di canoni irrisori. In Italia esistono territori famosi in tutto il mondo per la qualità e la particolarità delle tipologie di materiale estratto. Proprio l’unicità e la limitatezza del bene genera costi elevati di vendita. Per fare degli esempi concreti dei guadagni sono stati calcolati gli introiti dei bacini di tre materiali di grande pregio: la pietra di Luserna a Bagnolo Piemonte (CN), il marmo a Carrara e quello di Orosei (NU). In tutti e tre i casi risulta evidente la sproporzione tra quanto le casse pubbliche (in questa edizione sono stati segnalati direttamente gli introiti dei Comuni interessati) incassano con i canoni applicati sui materiali pregiati e quanto le stesse aziende di estrazione guadagnino con la vendita dei prodotti lavorati. Addirittura in Sardegna non esiste un canone e, nonostante il distretto di Orosei impieghi oltre 500 addetti, nelle casse comunali non entra nemmeno un euro. A Bagnolo Piemonte la produzione della Pietra di Luserna vede guadagni per oltre 115 milioni di euro mentre il Comune (che introita il 70% del canone) riceve nemmeno 2 milioni di euro annui. Se in proporzione va meglio per Carrara, che ha visto negli ultimi anni un incremento dell’imposta sulla produzione del marmo, non si può fare a meno di evidenziare anche in questo caso la grande differenza tra quanto incassato dalle ditte, oltre 175 milioni di euro, rispetto ai ricavi del comune, fermi a meno di 19 milioni di euro”.

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