Monreale, 4 maggio 1980. La mafia uccide il Comandante dei Carabinieri Emanuele Basile. Colpito alle spalle, era con la moglie e aveva la figlioletta in braccio

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Alle due di notte del 4 maggio 1980, mentre con la moglie Silvana e la figlia Barbara di quattro anni – in braccio a lui semi addormentata – assiste allo spettacolo pirotecnico che chiude la festa del Santissimo Crocefisso a Monreale, un killer della mafia – che poi fugge in auto dove lo attendono due complici – spara alle spalle ed uccide il Comandante della locale Compagnia Carabinieri, Emanuele Basile, strettissimo collaboratore investigativo del giudice istruttore Paolo Borsellino.

EMANUELE BASILE – Nasce a Taranto il 2 luglio 1949, terzo di cinque figli. Frequenta l’Accademia Militare di Modena ma prima di intraprendere la carriera militare riesce a superare il test d’ingresso alla Facoltà di Medicina e a sostenere il difficile esame di Anatomia; tuttavia i sentimenti di giustizia e legalità, valori fondamentali nella sua vita, hanno il sopravvento sulla professione medica ed entra nell’Arma. Prima di giungere a Monreale nel settembre 1977, comanda la Compagnia di Sestri Levante (GE) e, al momento dell’agguato, già gli era stata comunicata la destinazione successiva alla Sicilia, San Benedetto del Tronto (AP). Precedentemente al suo assassinio conduce alcune indagini sull’uccisione del capo della Squadra Mobile palermitana Boris Giuliano, avvenuto il 21 luglio 19791. Ripartendo da dove era giunto il Collega della Polizia, scopre l’esistenza di traffici di stupefacenti in cui sono coinvolti i Corleonesi in piena ascesa, che individua anche tramite accertamenti bancari: una prospettiva investigativa all’epoca assolutamente all’avanguardia. Particolare impegno investigativo viene profuso nel perseguire la pericolosa cosca mafiosa di Altofonte, che opera proprio nel territorio della Compagnia Carabinieri di Monreale e che per i legami con il gruppo corleonese è divenuta particolarmente temibile: le ascriverà il delitto di traffico internazionale di stupefacenti, riciclaggio e ben diciassette omicidi in due anni; nella stessa giurisdizione di Monreale rientrano i comuni di Altofonte, Piana degli Albanesi e Camporeale, tutti facenti parte del mandamento di S. Giuseppe Jato, rappresentato in seno alla commissione provinciale di Cosa Nostra da Antonino Salamone, generalmente sostituito da Bernardo Brusca. I risultati cui giunge Basile lo portano alla coraggiosa decisione di procedere, il 6 febbraio 1980, all’arresto d’iniziativa in flagranza per il delitto di associazione per delinquere di esponenti delle suddette famiglie, alla denuncia tra gli altri di Leoluca Bagarella, Antonino Gioé, Antonino Marchese, Francesco Di Carlo, nonché alla formulazione di rilevanti ipotesi investigative sulle attività delle famiglie facenti capo a Salvatore Riina, culminate nel rapporto 16 aprile 1980, ultimo atto prima della sua morte: in quella data il Capitano Basile consegna i faldoni con i risultati cui è pervenuto al giudice Paolo Borsellino.

L’AGGUATO – Domenica 4 maggio si festeggia a Monreale il Santissimo Crocifisso, Patrono della città; dopo aver partecipato ad un ricevimento che il Comune ha dato al Palazzo di Città, seguito dalla processione per il tradizionale omaggio della cittadinanza al simulacro di Cristo in Croce, verso le due di notte Emanuele Basile sta tornando a casa con la moglie Silvana e la figlia Barbara di quattro anni – in braccio a lui semi addormentata – mentre è ancora in atto lo spettacolo pirotecnico che chiude la festa. I tre attraversano obbligatoriamente via Pietro Novelli quando un killer della mafia – che poi fugge in auto dove lo attendono due complici – gli spara alle spalle. La moglie, che tenta di parare il colpo di grazia diretto al marito, si salva per un pelo, protetta da un’agendina di cm.3×4 con copertina in argento massiccio in cui si conficca il proiettile: era un regalo di Emanuele. Dopo aver cercato di rianimare il consorte non può fare altro che raccogliere la figlioletta tramortita, con la manina sporca di polvere da sparo; Basile viene intanto trasportato all’ospedale di Palermo dove i medici tentano di salvargli la vita con un delicato intervento chirurgico, ma muore durante l’operazione lasciando nel dolore la moglie e lo stesso Borsellino, corso in ospedale. Nel frattempo, i Carabinieri della Compagnia, distante poche decine di metri dal luogo del delitto, si mettono alla ricerca dei presunti autori, scoprendoli ed arrestandoli nelle campagne limitrofe, mentre stanno ancora tentando la fuga: si tratta di Armando Bonanno, Vincenzo Puccio e Giuseppe Madonia.

LE ESEQUIE. I PROCESSI – Nella casa di Taranto giunge la ferale notizia ma all’anziana madre vengono dette solo pietose bugie per risparmiarle il trauma dell’immane dolore: saprà dell’assassinio del figlio solo una volta giunta a Palermo, tre giorni dopo; anche la piccola Barbara non saprà che il papà era morto neppure ai funerali, quando il feretro avanza sul carro funebre, confortata dalla mamma che così racconta quelle strazianti sequenze: “Mamma, ma papà dov’è? È chiuso lì dentro in mezzo ai fiori? E io a dirle: no, papà non è lì, ha piccole ferite, lo stanno curando”.
Il processo di primo grado viene sospeso per una nuova perizia balistica ma, una volta ripartito, nonostante la testimonianza diretta e circostanziata della signora Silvana che, in Tribunale, guardando fisso negli occhi Vincenzo Puccio, colui che ha sparato contro il marito Emanuele, lo apostrofa “assassino…delinquente… ”, quest’ultimo, Madonia e Bonanno vengono assolti, creando sgomento e rabbia nella donna: “Mi sarebbe venuta voglia di armarmi e farmi giustizia da sola ” dichiarerà in seguito, ma anche nei magistrati e nei colleghi del Capitano. I tre vengono scarcerati ed inviati al soggiorno obbligato in Sardegna, in tre località diverse, da cui fanno perdere le proprie trace fin dal giorno successivo al loro arrivo, per cui risultano irrintracciabili quando la Corte d’Assise d’Appello li condanna all’ergastolo, rovesciando così il verdetto di primo grado; tuttavia la prima Sezione della Cassazione, presieduta dal giudice Corrado Carnevale, rileva un vizio di forma ed annulla il processo. La Corte d’Appello di Palermo presieduta dal giudice Antonino Saetta li dichiara nuovamente colpevoli e li condanna all’ergastolo ma nuovamente la Cassazione annulla per difetto di motivazione. Nel settimo processo sul banco degli imputati, insieme agli esecutori, anche i mandanti, tutti i boss della “cupola”: Totò Riina, Michele Greco, i Madonia, tutti condannati; Pippo Calò, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca e Nenè Geraci sono invece assolti; viene altresì chiarita la posizione di Giovanni Brusca, che concorse nella commissione dell’omicidio, come successivamente ammetterà nell’ambito della sua collaborazione. Ma né Armando Bonanno – vittima di lupara bianca –, né Vincenzo Puccio – ucciso il 9 maggio 1989 a colpi di bistecchiera di ghisa nel carcere dell’Ucciardone – sconteranno la pena dell’ergastolo.
Tre anni dopo la sua morte, il 13 giugno 1983, morirà ucciso il Capitano Mario D’Aleo, sempre per mano di Cosa Nostra, che ha preso il posto di Basile quale Comandante della Compagnia Carabinieri di Monreale.
Il 3 maggio 2011, a 31 anni dall’omicidio, l’Università di Palermo, rispolverando un decreto del 1949, gli ha conferito “quale testimone autentico di assoluta fedeltà alla Repubblica e paladino degli ideali su cui si basa l’ordinamento democratico” la Laurea honoris causa alla memoria in Giurisprudenza, ritirata dai tre fratelli Vincenzo, Luigi e Cosimo poiché la vedova e la figlia, che risiedono a Milano, non se la sono sentita di tornare sul luogo del barbaro omicidio del loro caro. Insieme con il Diploma sono stati consegnati alla famiglia i documenti conservati nella Segreteria dell’Ateneo: un tesserino universitario ingiallito, la domanda d’iscrizione scritta da Emanuele, il diploma degli studi svolti all’Accademia di Modena. Nell’occasione, alla presenza del Comandante Generale dell’Arma, Generale Leonardo Gallitelli, è stata scoperta una nuova lapide sul luogo dell’agguato.
Il 13 giugno 2013, il sindaco di Monreale, Filippo Di Matteo, facendosi interprete della volontà dei monrealesi, dopo aver accolto la delibera del Consiglio Comunale votata all’unanimità, ha conferito la cittadinanza onoraria alla memoria al Capitano Emanuele Basile.
Alla memoria del Capitano Emanuele Basile, il 6 giugno 1982 il Presidente Sandro Pertini conferisce la Medaglia d’Oro al Valor Civile alla Memoria con la seguente motivazione:

Comandante di Compagnia distaccata, già distintosi in precedenti, rischiose operazioni di servizio, si impegnava, pur consapevole dei pericoli cui si esponeva, in prolungate e difficili indagini, in ambiente caratterizzato da tradizionale omertà, che portavano alla individuazione e all’arresto di numerosi e pericolosi aderenti ad organizzazioni mafiose operanti anche a livello internazionale. proditoriamente fatto segno a colpi d’arma da fuoco in un vile agguato tesogli da tre malfattori, immolava la sua giovane esistenza ai più nobili ideali di giustizia ed assoluta dedizione al dovere.

Monreale (Palermo), 4 maggio 1980

Tratto da www.carabinieri.it 

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