Il ministro Minniti: “Predica del venerdì in italiano, i nomi degli imam e trasparenza nella gestione finanziaria. Sì a nuove moschee”. Le comunità islamiche accettano e firmano

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ll ministro dell’Interno Marco Minniti e i rappresentanti delle maggiori associazioni musulmane hanno firmato il 1 febbraio il «Patto nazionale per un IsIam italiano». Il documento contiene 10 impegni. “Tra essi – ha sottolineato il ministro Minniti – c’è la formazione di imam e guide religiose” (che preluderebbe a un albo degli imam), “la resa pubblica dei nomi e dei recapiti degli imam, delle guide religiose e delle personalità con ruoli di mediazione tra la comunità islamica e la realtà sociale e civile circostante; l’adozione di comportamenti concreti affinchè le prediche del venerdì siano svolte o tradotte in italiano; la massima trasparenza nella gestione e documentazione dei finanziamenti”.

«Oggi è un giorno importante, un passaggio utile per il presente e il futuro del nostro Paese attraverso il dialogo interreligioso». Così il ministro Minniti ha definito la firma del Patto nazionale per un Islam italiano (.pdf, 86 KB), avvenuta il 1 febbraio al Viminale con i rappresentanti delle associazioni e della comunità islamiche presenti in Italia.

“Il senso del documento sottoscritto – sottolinea il ministro dell’Interno – è che si possono avere religioni differenti e professare religioni differenti pur essendo tutti italiani. Il documento richiama, infatti, esplicitamente la nostra Costituzione e si ancora ai ‘valori solidi’ che tutti, Stato e comunità islamiche, insieme si impegnano a difendere”.

Il pre-requisito, secondo Minniti, del Patto è quello di «ripudiare qualsiasi forma di violenza e terrorismo». Il cuore del patto è un giusto equilibrio di diritti e doveri, per sviluppare un progetto che mira a costruire una «forte integrazione».

Tra i punti cruciali, c’è il principio che la libertà di culto rappresenta un valore inalienabile, un punto fermo che fa di una democrazia una democrazia e di una civiltà una civiltà.

“Poichè – evidenzia il ministro – uno Stato non può imporre regole ad una religione, lo Stato può però fare un’intesa, un incontro pattizio che rappresenti un incontro di libere volontà. Questo garantisce che non essendoci una supremazia di una parte sull’altra, il Patto regga. Questo rappresenta anche un investimento immateriale per nostro Paese perché una società più integrata è una società più sicura”.

Anche la struttura del Patto riflette questa idea pattizia e di incontro: sono 10, infatti, i punti in cui si impegnano da una parte le associazioni e dall’altra lo Stato. Tra le misure concordate, la promozione di una formazione per gli imam, per scongiurare il pericolo di imam “fai da te”, sarà compito del ministero dell’Interno accompagnare questa formazione. Dovrà, inoltre, essere garantito l’accesso a non-musulmani ai luoghi di preghiera. Anche la trasparenza, che abbatte il germe del sospetto, può essere elemento significativo. Per questo, i nomi degli imam dovranno essere pubblici e i sermoni tradotti in italiano.

Trasparenza nei finanziamenti è richiesta anche nella costruzione delle moschee in Italia. Questi rappresentano, sottolinea Minniti, «tre pilastri straordinari di trasformazione».

Il ministero dell’Interno si impegna a costruire tavoli interreligiosi e ad organizzare un incontro con i giovani musulmani di seconda generazione dove poter discutere di diritti e doveri.

“Il Patto serve – ribadisce infine il ministro – a predisporci ad un percorso che termini con la definizione di un’intesa”.

 

 

 

 

 

 

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