La voglia della vita e il business della morte. Affari, crimini e salvataggi nel Mediterraneo

0

Traffico via mare di migranti organizzato dalla criminalità libica; navi Ong; arrivi massicci di clandestini in Italia dei quali, statisticamente, solo il 6% ha diritto ad ottenere asilo politico e ad essere ripartito per quote nel resto d’Europa. E se Salvini avesse ragione? Se vi fosse una correlazione fattuale tra le dinamiche di forze convergenti seppur tra esse non collegate? Può essere qui ricercata la ragione alla base anche della tesi di Giorgia Meloni di dissuasione delle partenze attraverso un imponente blocco navale europeo (soluzione caldeggiata anche da Orban e dai suoi alleati Visegrad)?
La risposta, forse, è tutta nell’immagine in controluce di in un gommone alla deriva, stipato all’inverosimile, sgonfio e senza motore: oramai il simbolo dell’emigrazione degli ultimi anni. Ma andiamo per ordine.

1991, gli albanesi – L’analisi della storia recente delle migrazioni ci porta all’8 agosto del 1991 quando sulla banchina del porto di Bari attraccò la motonave Vlora carica di quasi 20mila albanesi attratti dal luccichio dell’Occidente. Allora il Paese rispose compatto: gli stranieri furono forzatamente rimpatriati tranne circa 1.500 richiedenti asilo politico. Quell’esodo fu spontaneo e senza grosse ‘intermediazioni’ così come quelli che successivamente, e fino ai primi anni 2000, mossero dalle sponde del Magreb.

1991, lo sbarco a Bari degli albanesi a bordo della nave Vlora

Non c’erano navi Ong, non c’erano grosse organizzazioni malavitose  a gestire i flussi e lo schema era semplice: partenza (clandestina e illegale)-arrivo (clandestino e illegale). Ed infatti i migranti sono giunti per anni fin sulle spiagge europee a bordo di barconi in legno probabilmente pagati a criminali che, solo allora, iniziarono a fiutare le potenzialità del business ed a raggrupparsi: ma in Libia c’era Gheddafi e tutti gli affari – leciti e loschi – erano efficacemente tenuti sotto controllo. Dalle sponde mediterranee dell’Africa si partiva solo se la barca/barcone era della misura e della solidità tali da offrire discrete garanzie di tenuta durante la traversata nel canale di Sicilia. Non uno scherzo. Ed infatti, seppure tante, le partenze erano in numero inferiore rispetto a quelle successivamente organizzate dagli scafisti liberati nell’agire dall’assassinio di Gheddafi avvenuto il 20 ottobre 2011.
Da allora il sistema di trasferimento via mare dei migranti in Europa (Italia) diventa sistematico ed organizzato seppur strutturato, ancora per un paio d’anni, sul tradizionale metodo delle grosse barche in legno.

2013, il naufragio – Il 3 ottobre del 2013 il naufragio al largo di Lampedusa di un barcone con centinaia di morti determina un sollevamento delle coscienze europee. Man mano nel canale di Sicilia fanno allora la loro comparsa decine di navi delle Organizzazioni non Governative  che, unitamente alle navi militari (operazioni Mare Nostrum e Frontex), issano a bordo quante più persone possibili. Dal pattugliamento delle coste italiane e dalla ricerca in acque internazionali si passa repentinamente ai limiti delle acque territoriali libiche con le Ong sempre più intraprendenti, così come confermano la C-Star di Generazione Identitaria e qualche video facilmente recuperabile in rete. I trafficanti sulla terraferma libica ne approfittano, intuiscono l’enorme business e fanno il salto di qualità. Se le navi delle Ong non sono lontane, le traversate possono essere più brevi e numerose; quindi ai dispendiosi barconi in legno si sostituiscono i più economici gommoni, potenzialmente in grado di navigare per qualche miglia se condotti da uno scafista che ben sa (?) che rotta seguire. Lo stesso che, alla distanza giusta, stacca il motore si fa prelevare da una imbarcazione più piccola che segue. L’ultima ricostruzione della polizia di Ragusa a seguito dello sbarco della nave Diciotti della Guardia Costiera a Pozzallo svela il particolare – riferito dai migranti – dell’utilizzo di una moto d’acqua di appoggio in grado di far rientrare velocemente sulla costa lo scafista con il motore fuoribordo. Stessi mezzi usati, si apprende, anche per rapidissimi trasbordi ‘ad personam’ tra la costa dell’enclave spagnola di Ceuta in Marocco e la dirimpettaia Spagna. Le numerose navi delle Ong pronte ai salvataggi, di fatto, hanno instillato la convinzione in larghe parti della popolazione africana che si sarà issati a bordo e portati in Europa. La conseguente criminale scelta dei libici di imbarcare numerosissime persone (paganti) a bordo di piccoli gommoni facilmente rovesciabili,  lasciati poi alla deriva senza guida e motore nei pressi delle navi Ong aumenta, vertiginosamente, il rischio di naufragi. Ed infatti i morti annegati si contano a migliaia: 34.361 secondo una ricostruzione del Guardian.

Curdi e siriani – I migranti non economici, i veri ‘profughi’ provenienti da zone di guerra, scelgono altri corridoi. I curdi e i siriani ad esempio quando riescono (raramente), salpano dalle coste turche a bordo di solidi yacht e, spesso, riescono ad arrivare fin sulle coste pugliesi e calabresi. La Turchia però, per accordi presi con Bruxelles, dispiega ottimo servizio di pattugliamento: sulle sue coste non vi sono scafisti organizzati e in quel tratto di mare non si vedono Ong.

Le Ong operano sulla base di contributi e donazioni a fini umanitari raccolti in tutto il mondo. Probabilmente, la notizia dell’assenza di navi Ong al limite delle acque territoriali libiche e di un massiccio ed organizzato pattugliamento militare europeo nelle acque internazionali, determinerebbe un minor numero di partenze. Di naufragi e di morti affogati.
Vuoi vedere che hanno ragione Salvini, Meloni e il gruppo di Visegrad?

 

Condividi.

Lascia un commento