Corrado Maria Daclon: “Coronavirus anticipo della crisi globale”

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“Scenari di geopolitica per il millennio. Dall’Eldorado industrializzato alla crisi planetaria” è il titolo del nuovo libro di Corrado Maria Daclon (in foto), docente universitario, saggista, tra i maggiori esperti internazionali di geopolitica, segretario generale e fondatore della Fondazione Italia USA, consulente della NATO. Il libro è pubblicato in Italia da Aracne Editrice. Daclon pone numerosi interrogativi, anche inquietanti, sul nostro futuro.

Professor Daclon, in questa crisi drammatica dovuta al coronavirus ha un senso, come fa lei nel suo libro, parlare di scenari di geopolitica molto lontani nel tempo?

“La crisi economica dovuta al coronavirus irrompe in un processo già in atto da tempo e ne accelera drammaticamente le conseguenze, mostrandoci la debolezza della nostra società. Quello che viviamo oggi è però solo un piccolissimo assaggio, una timida anteprima della devastante crisi sistemica globale che arriverà nei prossimi decenni, quando il lavoro scomparirà per sempre per centinaia e centinaia di milioni di persone. Già oggi, come conseguenza diretta dell’epidemia, alcune grandi imprese annunciano ‘meno impiegati, più tecnologia’. Ma il problema del futuro non sarà che molte persone delle società industrializzate avranno difficoltà a trovare un posto di lavoro o lo perderanno temporaneamente per una crisi come il coronavirus. Il problema sarà che il lavoro stesso non esisterà più, buona parte dei posti di lavoro come li intendiamo oggi semplicemente non esisteranno più”.

E quindi, se effettivamente molte professioni saranno svanite, che cosa succederà? Si creeranno moltissimi disoccupati?

“Prima del 2050 i governi dovranno farsi carico di masse enormi di persone non utilizzabili e non impiegabili in quelle che saranno le pochissime, sofisticate ed elitarie posizioni professionali. Centinaia di milioni di persone inutili, inoccupate e inoccupabili. Questa sarà la vera crisi sociale, la vera drammatica e spaventosa esplosione geopolitica da gestire da qui a qualche decennio, al confronto della quale l’immigrazione o le epidemie di coronavirus saranno fenomeni assolutamente inconsistenti”.

I robot allora sono più insidiosi del coronavirus?

“La robotica e l’intelligenza artificiale cambieranno il mondo nel giro di un paio di decenni. Ma lo sconvolgeranno prima del 2050. Centinaia di milioni di disoccupati, il cui lavoro che svolgevano da una vita sarà scomparso, distrutto, cancellato per sempre. Come potrà essere mantenuta la pace sociale e come potranno essere evitate guerre civili, se i governi non saranno nelle condizioni di garantire un reddito a centinaia di milioni di persone improduttive? Non basteranno gli ‘helicopter money’ come per il coronavirus, perché la catastrofe sarà cronica e non temporanea”.

Negli Stati Uniti si è spesso accusata la Cina per fenomeni come la chiusura delle imprese e la perdita di posti di lavoro.

“La sola Cina deve creare 15 milioni di posti di lavoro l’anno, per i 10 milioni di giovani che entrano nell’età lavorativa e per i 5 milioni che perdono il posto di lavoro che avevano. La situazione in Europa è ugualmente drammatica, ed in aggiunta dovremo fronteggiare la distruttiva e fatale colonizzazione cinese delle nostre economie e delle nostre vite”.

Professore, può farci qualche esempio più concreto, per comprendere quello che lei sostiene circa i lavori che scompariranno?

“Entro 5 o al massimo 10 anni scompariranno le banche tradizionali. In passato il posto sicuro per antonomasia era il classico ‘posto in banca’, un vero bingo per un giovane e per la sua famiglia. Oggi non c’è nulla di più precario, qualcosa che a brevissimo termine rimarrà solo nei libri di storia. Lo stesso accadrà con le assicurazioni. Ma anche con chi si occupa di pubblicità. Cosa farà tutto l’enorme mercato collegato alla pubblicità se già ora con Google veniamo profilati e ci vengono proposti prodotti e servizi su misura? In futuro la pubblicità sarà semplicemente un algoritmo di Google che offre e colloca i prodotti”.

Di conseguenza, lei ritiene che una fetta così larga delle attività professionali finirà inevitabilmente sostituita da un robot?

“Che senso avranno i commercialisti, che infatti scompariranno, se al massimo in un decennio l’intelligenza artificiale eliminerà le incombenze contabili e permetterà di collegare i dati dei conti bancari per redigere i report fiscali? E potremmo continuare con l’automazione in medicina. O in agricoltura, dove già allo stato attuale vediamo completamente robotizzate le semine, le potature e i raccolti. I notai, sostituiti dai blockchain. E poi postini, cassiere dei supermercati, operatori di call center, agenzie di viaggio, autisti di auto o mezzi di trasporto pubblici, piloti militari, taxisti, tutte professioni a rapidissima estinzione, anno più o anno meno. I conflitti armati saranno gestiti da un tecnico dietro a un desktop in Virginia, che controllerà droni e apparati offensivi tecnologici a 8000 chilometri di distanza, non certo più con eserciti sul campo, approvvigionamenti logistici, trasporti di truppe, tutte cose del passato che stanno scomparendo già adesso”.

Davvero pensa che lo scenario sia così pessimistico, da “crisi planetaria” come nel titolo del suo libro, oppure vede anche degli spiragli nei quali sia possibile trovare delle soluzioni?

“Nella storia vi sono sempre stati mutamenti analoghi, con la rivoluzione industriale quando si passò dalle campagne alle fabbriche, o più recentemente con il trasferimento di produzioni manufatturiere in Cina. Ma con la rivoluzione industriale non era certo un problema se i disoccupati di una fattoria lasciavano l’aratro e la mungitura e andavano ad avvitare piastre in una fabbrica. Si trattava pur sempre di masse prive di specializzazioni particolari e facilmente adattabili e riconvertibili. Oggi tutto è diverso. Quando a breve le cassiere dei supermercati non esisteranno più, come già accade nei negozi Amazon negli USA e presto nei centri commerciali Walmart, queste impiegate non potranno diventare progettisti di microrganismi per nuovi farmaci, oppure tecnici per la gestione del software dei droni militari, oppure manutentori di microimpianti dell’intelligenza artificiale nella telemedicina. La loro bassa specializzazione e bassa trasversalità sarà un lavoro di esclusiva pertinenza dei robot. Il collasso della domanda dei consumi determinato dal coronavirus è solo una modestissima anticipazione della tempesta sociale che ci attende da qui a qualche decennio”.

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