Migranti, rivoluzione-Minniti. Aboliti i Cie, in ogni regione un centro di permanenza per i rimpatri lontano dalle città. Giudizi più veloci

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«Abbiamo deciso di intervenire con due decreti legge. Uno per il tema dell’immigrazione e uno sulla sicurezza urbana, questioni che hanno una grandissima rilevanza sulla vita pubblica del nostro Paese». E’ quanto riferito dal ministro dell’Interno, Marco Minniti, nel corso della conferenza stampa seguita al Consiglio dei ministri tenutosi questa mattina a Palazzo Chigi.

«Sui temi dell’immigrazione abbiamo quattro capisaldi: intervenire sui flussi, nuovo modello di accoglienza, rimpatri, integrazione – ha specificato Minniti -severità con chi non è nelle regole, integrazione con chi le rispetta». Con le nuove norme «intendiamo favorire un nuovo modello di accoglienza, il più possibile diffusa. E’ un orientamento concordato con l’Anci – ha spiegato il ministro – e che passa attraverso la riduzione, in tempi ragionevoli, dei grandi Centri d’accoglienza, che sono più esposti proprio per una questione di numeri a criticità».

«I vecchi Cie non ci saranno più – ha confermato il ministro – diventeranno Centri di Permanenza per il Rimpatrio che saranno una cosa totalmente diversa: uno per regione, per complessivi 1.600 posti» e sorgeranno fuori dei centri abitati ma vicino ad ‘hub’ di comunicazione stradale. «Il mio ministero – ha aggiunto ancora – ha deciso di raddoppiare  i fondi anche per i rimpatri volontari assistiti».

Poiché «non c’è una politica di accoglienza vera – ha sottolineato Minniti – se non sono praticati i rimpatri, il giudizio sui richiedenti asilo deve avvenire nei tempi più rapidi possibili. Bisogna abbattere i tempi di riconoscimento del diritto, gli attuali 2 anni sono troppi: abbiamo quindi deciso di sopprimere un grado di giudizio per i ricorsi, di assumere 250 unità di personale altamente qualificato per rafforzare le Commissioni territoriali» ha detto.

«Le nuove norme approvate oggi prevedono – ha spiegato ancora il ministro – la possibilità per i comuni, di intesa con le prefetture, di impiegare i richiedenti asilo, su base volontaria, in attività di utilità sociale in favore delle collettività locali» per colmare così il «vuoto dell’attesa» che si determina nell’iter di riconoscimento del diritto di protezione.

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